Pietro Mennea
(Articolo a cura di Demetrio Marrara)
Non è facile raccontare la storia di Pietro Mennea, soprattutto per degli appassionati di calcio che hanno seguito sporadicamente le imprese dell'atletica leggera. Oggi mi sento in dovere di farlo, di interessarmi a Pietro come atleta e come uomo. Di capire chi fosse e cosa abbia rappresentato per l'Italia. Mennea nasce a Barletta nel 1952. Un ragazzo del sud, come me, cresciuto tra disagi e difficoltà. Il padre, Salvatore, era un sarto e sua madre, Vincenza, era una semplice casalinga. Come la maggior parte degli individui nati e cresciuti al Sud l'unico comun denominatore della sua vita è stato lottare per qualsiasi cosa. La sua palestra è stata quella della strada. Le sue corse, le scommesse con gli adulti per guadagnarsi un panino, un ingresso libero al cinema. Un personaggio introverso, timido, schivo. Diffidente. Fatto più di silenzi che di parole, più di fatti che di chiacchiere. Ad un certo punto della sua vita iniziò a capire che forse la corsa sarebbe diventata la sua vita. Forse la corsa poteva riuscire ad estraporarlo da quel ambiente sociale disastrato, da quella povertà comune a molti. Fu proprio quando iniziò a scappar di casa per fare delle gare clandestine. Gare che vedevano come protagonisti lui e le macchine. L'uomo, privo di timore, e un mezzo meccanico. Questi episodi spesso al centro di scommesse, di serate finite in rissa. Botte date e botte prese. Un pò come la sua vita.
In questi momenti Pietrò capì cosa avrebbe voluto fare da grande. Una persona forgiata dalla personalità, dalla tenacia, dalla faccia tosta. Negli anni del 68 quando le rivolte giovanili infiammano la penisola e i ragazzini sognavano di diventare come Cassius Clay.
In momenti come questi un ragazzino potrebbe perdere di vista l'obiettivo, lasciarsi influenzare. Questo non accade, però, se hai al tuo fianco una persona che ti guida, su cui puoi fare cieco affidamento.
E' il caso del Prof. Autorino, vero mentore e insegnante di educazione fisica. Senza dimenticare il Prof Vittori e il Prof Mascolo.
Le continue sconfitte nel cortile della scuola, le perplessità dell'ambiente sportivo che riteneva il suo fisico troppo debole e gracile. I pugni alzati di Tommie Smith, la voglia di cercare di colmare il gap con gli uomini, ritenuti alieni, di colore e il russo Borzov, suo idolo. Sono questi gli elementi che gli fanno capire cosa vuol essere nella vita.
La vita dell'atleta si sa, è fatta di sacrifici. Di continui allenamenti, di cadute, di ostacoli. A questo punto solo un uomo vero, come lui, può decidere di mettere da parte tutto e concentrarsi esclusivamente sul sogno della sua vita.
Gli ambienti erano scadenti, poco propensi per potersi allenare come si deve. Barletta era fondamentalmente una città umida. Umida e fredda come la palestra in cui si allenava.
Pallamolla, il ragazzo più veloce della sua scuola, servì da incentivo per la sua carriera. Una vittoria sull'odiato, agonisticamente, compagno di scuola gli fece scattare la molla. Decise di dedicarsi completamente all'atletica leggera, abbandonando di fatto la marcia.
I pugni alzati di Tommie Smith divennero il suo punto di riferimento. Aveva deciso. Voleva fare i 200m e voleva essere il più veloce. Rischiò, nel 1969, di entrare a far parte dei campionati Europei di Atene risultando il più veloce nelle prove del Viareggio. Nel 1971 arrivarono i primi risultati: finalista nei 200m e bronzo nella staffetta 4x100.
Pieretto, cosi veniva chiamato simpaticamente dal clan azzurro, entrò nella storia nel 1980 a Mosca. Diventò l'uomo più veloce del mondo sui 200m firmando il tempo di 19''72. Un tempo che rimase record per 17 anni!
"Sono nero dentro" diceva il buon Pietro.
Ancora ad oggi Mennea rimane un personaggio da scoprire. Mai primadonna, assolutamente modesto, mai una parola fuori posto.
Una metafora della vita. Un uomo che non si è rassegnato mai. Un uomo che ha lottato per tagliare i traguardi, per oltrepassare gli ostacoli che la vita gli poneva davanti. Solo col sudore, con la voglia, con l'impegno si possono ottenere dei risultati. Un esempio per tutti, grandi e piccoli.
Il più grande rimpianto di tutti, me compreso, è che nessuno ha saputo cogliere la grandezza di questo personaggio, di questo uomo. Ci ha beffato tutti. Ha corso troppo veloce di nuovo. Prima che tutti noi potessimo notarlo.
Addio Freccia del Sud, hai tagliato il tuo ultimo traguardo.
Nessun commento:
Posta un commento